Porta sul petto la foto del piccolo Ahmad Khatib, bimbo palestinese di 12 anni ucciso il 5 novembre scorso da un soldato israeliano mentre giocava a Jenin e i cui genitori, presenti al meeting, hanno donato gli organi.
E' Manuela Dviri, giornalista israeliana di origine italiana che, dopo l'uccisione di suo figlio Joni durante l'intervento israeliano in Libano a opera di un razzo sparato dagli hezbollah, ha deciso di impegnarsi ogni giorno per la costruzione della pace e l'incontro di due popoli, l’israeliano e il palestinese.
'L’immagine di Ahmad - dice - per i suoi genitori ha lo stesso significato che la morte di mio figlio ha per me. Perché siamo tutti uguali. Siamo tutte pedine”.
Madre in lutto anche per il lutto di altre madri, Manuela ha cercato di creare un modo per sconfiggere la morte. “Cercando di far sì che la nostra vita, senza nostro figlio, non fosse peggiore di prima e, magari, potessimo fare qualcosa perché fosse migliore quella di altri. Così, anche così, si cotruisce la pace”.
Da qualche anno ha avviato un progetto per dare la possibilità ai bambini palestinesi di essere curati in ospedali israeliani. Nell’attività dell’organizzazione internazionale “Save the children” è nato così iun programma enorme di collaborazione israelo-palestinese che ad oggi ha salvato circa duemila bambini affetti fa gravi patologie .
“Tutto è iniziato – racconta Dviri - quando ho saputo che c’era un bambino palestinese che non poteva essere curato a causa degli enormi problemi medici che esistono nella sua comunità. Così l’abbiamo portato oltre il muro, per curarlo nella comunità israeliana”.
Ai migliaia di giovani che la stanno ascoltando, la sua posizione la spiega con un aneddoto capitatole proprio sull’aereo che la portava a Firenze. “Accanto a me – racconta - era seduto un signore che mi ha chiesto dove ero diretta. Quando ha saputo che stavo venendo qui, ha escloamato: La Toscana? Lo sa che è una regione filopalestinese?’ 'Come si permette?’ gli ho risposto. Io sono israeliana e vado a Firenze a parlare nell’ambito di un incontro sulla pace. La Toscana è per i palestinsi come per gli israeliani.
“Così anche voi ragazzi ha concluso - quando vi chiederanno per chi siete, rispondete: noi siamo per i palestiensi e per gli israeliani. Perché la pace non si fa con noi stessi ma con l’altro”. Sul palco sono saliti poi i genitori del piccolo Ahamad. “Non ci importa di sapere se gli organi di nostro figlio sono andati a un palestinese o a un israeliano” ha detto la madre del bambino. “Se quegli organi serviranno ad avvicinare ebrei e arabi - ha spiegato il padre - allora avremo dato una missione a questo bambino, morto senza una ragione”.
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