Secondo l'ultimo rapporto del Sipri (l'Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma) nel 2004 nel mondo si sono spesi 1000 miliardi di dollari per le armi, il 4% del Pil mondiale. 'Questo significa che anche il più povero abitante del contintente africano l’anno scorso ha speso 162 dollari per acquistare armi” ha aggiunto Giorgio Beretta della Rete Italiana per il Disarmo.
La devastazione dell’Africa è un flagello senza fine. Ma poco fanno gli altri paesi mondiali per impedire il massacro. “L’Italia - incalza Gad Lerner – è il penultimo paese al mondo per la spesa a favore dell’Africa, con lo 0,15% del proprio Pil”. “Questa però una prerogativa di tutti i paesi europei – aggiunge Lisa Clark, rappresentante dell’associazione Beati i costruttori di pace – E’ soltanto un modo di pulirsi la coscienza con gli spiccioli che ci avanzano. Purtroppo il modo di combattere il fenomeno parte da una prospettiva errata. Pensate che i problemi dell’Africa nell’UE vengono discussi a livello di Commissione Sviluppo e non in quella Affari Esteri. E’ un modo paternalistico per affrontare il problema. In Congo – conclude la Clark - sono morti 4 milioni di persone in 5 anni, morti uccisi da armi made in Italy, in France, in Great Britain. Proviamo a impedire questo enorme giro d’affari”.
“Le guerre che stanno distruggendo il mio continente – ha spiegato dal palco Jean Touadi – vengono da tutti definite etniche, tribali. Sono menzogne. Perché invece non si dice che si tratta di conflitti generati dagli interessi, dagli interessi delle multinazionali? Perché in Africa tardano ad arrivari cibo, acqua, medicine e non mancano mai le armi? Proviamo a chiederlo a chi davvero governa il mondo e che pensa soltanto ad arricchirsi alle spalle dei più sfortunati”. (ft)
Il mercato delle armi nel mondo. Con la fine della guerra fredda le esportazioni di armi sono diminuite: tra il 1990 ed il 2002 c’è stata una flessione di circa il 35%. Ma tra il 2001 ed il 2003 le spese militari sono tornate a salire e nel 2005 sfioreranno il record del trilione di dollari, se la tendenza sarà confermata. Sono alcuni dei dati contenuti nel dossier distribuito ai ragazzi in occasione del meeting, estrapolati a loro volta da studi di esperti internazionali.
I principali gruppi industriali di 15 paesi nel mondo controllano oggi il 95% dell’intero commercio delle armi. Gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni hanno spesso sfiorato il 50% da soli. Assieme a Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, i paesi che compongono il Consiglio di sicurezza dell’Onu, l’organo che dovrebbe garantire la pace nel mondo, hanno contribuito per il 79,6% alle contrattazioni mondiali nel periodo 1999-2002. Anche la Cina ed Israele e l’Europa Occidentale (Nato-Ue) sono tra i quindici paesi che al momento controllano la quasi totalità del mercato mondiale delle armi. Tra i principali importatori vi sono invece paesi dell’Asia e del Medio Oriente. Queste due aree, interessate da conflitti di lunga durata o da tensioni e violazioni di diritti umani, coprono da sole più della metà del volume di scambi globali negli ultimi anni. Il solo continente asiatico ha visto aumentare la propria incidenza sul commercio mondiale di circa il 40% negli anni 1996-2002.
Il Medio Oriente è invece uno degli scenari più delicati: dopo l’11 settembre le spese militari sono cresciute. Anche in Africa c’è stato un notevole aumento dopo il 1995, conseguenze di vecchi e nuovi conflitti. In questo caso le spese per la guerra sottraggono risorse per combattere la povertà e per le politiche sociali. Basti rammentare il caso dell’Angola, dove nel 1999 le spese militari sono state pari al 23% del Pil. Anche l’Italia è tra i produttori di armi. Tra i suoi importatori ci sono Stati come la Malaysia (paese dove gli oppositori politici vengono detenuti e torturati) , la Turchia, l’India, il Pakistan, la Cina ed il Medio Oriente. Ma è nel campo della produzione ed esportazione di armi leggere che l’Italia detiene un triste primato: secondo produttore al mondo, primo in Europa.
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